Immaginate di trovarvi all’una e trenta di notte, in piena pandemia, a guardare una replica di ”Durante, detto Dante”, un documentario condotto da Alessandro Barbero. Oltre all’ambiguità del fatto in sé per sé, il momento più cringe ricordo che arrivò quando lo storico riportò inaspettatamente a galla un episodio, riguardante il Sommo Poeta, che a scuola non si racconta mai.
La vicenda è strettamente legata all’amore gentile che l’appena diciottenne Dante prova per Beatrice, una ragazzina ormai già sposata. Il primo incontro non si dimentica mai: il poeta rimarrà talmente folgorato dalla voce di Bice e dal famoso saluto a lui rivolto, che nella Vita Nova dirà «tanto che mi parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine». Per di più gli effetti di questa fortunata coincidenza porteranno il Dante teenager a segregarsi nella sua cameretta per, chiamiamolo “ripensare”, all’incontro; ma gira e rigira nel letto: Dante il birichino finisce per sognare Beatrice in una veste tutt’altro che innocente, anzi, la sogna letteralmente senza vesti. Nessuna corrispondenza astrale al mondo avrebbe fatto sì che in un’epoca come il Medioevo, un giovane ragazzo cominciasse a ragionare sui termini dell’amore a partire da emozioni così prepotenti.
Infatti nel Roman de la Rose, «il più famoso bestseller dell’epoca» (così denominato da Barbero), l’amore è presentato come una follia da cui l’uomo deve difendersi, e la Ragione è il mezzo attraverso il quale bisogna combattere questa forza irrazionale. Ma la passione sublime che Dante prova nei confronti di Beatrice lo spingerà a soffocare il «fedel consiglio de la ragione», e farà bene, perché per la prima volta ci sarà un “dicitore d’amore” in lingua volgare. Grazie a questo evento Dante scriverà il suo primo sonetto, A ciascun’alma presa; l’esperienza lirica venne condivisa con altri poeti, come Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Terino da Castelfiorentino e la risposta più eclatante giunse da Dante da Maiano. Quest’ultimo, esponente della generazione di poeti antecedente a quella di Dante, rispose con una tenzone scrivendo «Che lavi la tua coglia largamente/A ciò che stingua e passi lo vapore». In parole povere, Dante da Maiano consiglia al nostro Dante di «sciacquarsi i testicoli in acqua fredda, per farsi passare i bollori», ricevendo così una canzonatura beffarda.
Ma le tenzoni comportavano sempre questi rischi e Dante sarà uno di quelli che imparerà a scoccare parole ben taglienti, come nei versi che si scambierà con l’amico rimatore Forese Donati. Il tema della tenzone? Chi sa “tener coperta” di più la moglie; nulla per cui scandalizzarsi in fondo, non che la situazione sia diversa al giorno d’oggi…
Ma, ritornando sulla ricostruzione di un autentico profilo dantesco (non del naso, no), è appurato che abbia saputo amare, che abbia imparato a verseggiare grazie all’amore e che nonostante sia stato gabbato, deriso, svenuto e ripreso, Dante ha fatto della sua esperienza autobiografica un pozzo di materia poetica, ben distesa in quel che è la Vita Nova, un prosimetro in cui gli agganci biografici sono inanellati all’immaginazione, mista ai veri ricordi. Il primo esperimento letterario si chiude con l’ambizione di voler realizzare un’opera in cui Dante spera «di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna», disegno poetico realizzato solo dieci anni più tardi con la Comedìa. Cosa succede nel frattempo?
Dante si distingue per il forte legame con la città di Firenze, e assieme ai repentini cambiamenti che caratterizzeranno la città, anche la psicologia del poeta verrà messa a dura prova dalle sfide politiche a cui andrà incontro. A circa trent’anni, il ghibellin fuggiasco decide di buttarsi nella politica, per partecipare direttamente alle attività dei consigli che avrebbero sancito il da farsi del comune fiorentino. Come intellettuale civile, Dante vuole avere uno spazio in cui amplificare la sua voce politica, per insediarsi «nel dibattito complesso e stratificato», e fare in modo che questa influenzi il destino della Firenze municipale. L’attività politica di Dante comincia ad intensificarsi nel 1300, e lo sappiamo perché dopo il 1294 il 1295 non ci sono più testimonianze dei movimenti danteschi.
Il 1300 è l’anno delle sommosse, l’anno in cui la città è infuocata dalla rivalità tra i Ghibellini, i Guelfi Neri e i Guelfi Bianchi e Dante, attento osservatore, si nutrì profondamente dell’esperienza come inviato diplomatico, poiché godette di piena fiducia dei sei priori in carica. Ma durante il priorato di Dante, il poeta si trovò ad affrontare faccende delicatissime e periodi drammatici, per cui ogni decisione sarebbe potuta sembrare azzardata. Ciò che rende Dante ammirevole in questo caso, è la fedeltà ai suoi principi, che non tradì neanche quando venne esiliato il 10 marzo 1302. Certo, in quel caso avrebbe fatto meglio a tacere, dato che fu fin troppo compromesso dall’accusa di baratteria.
Sebbene gli archivi non contengano documentazioni risalenti al periodo in cui il poeta visse «nell’altrui scale», le opere che compose durante questo periodo, ci raccontano molto della maturazione intellettuale del Sommo Poeta. La questione linguistica acquistò un’importanza dalla modernità inaudita: con il De Vulgari Eloquentia e il Convivio conosciamo un Dante innovatore. Per quanto possa essere un conservatore dei costumi, il padre della lingua italiana elevò il volgare, riservando alla nuova lingua un’inedita dignità stilistica.
Il De Monarchia, invece, cela un Dante utopico, che vorrebbe un’Italia unita, quantunque sia impossibile realizzare questo progetto politico, a causa della caduta dei valori patriottici, alla noncuranza dell’imperatore nei confronti dell’Italia, lasciata in mano a un Bonifacio VIII che vuole avidamente conquistare un ruolo che non gli spetta. Questo tema culminerà nella Commedia, la Divina Commedia, un capolavoro che merita l’acclamazione che riceve dai lettori d’ogni epoca, e di tutto il mondo.
Scrivere di quest’opera sprigiona davvero l’ineffabilità che Dante sentì nel dover rendere a parole «la mirabil visione» e «l’amor che move il sole e l’altre stelle». L’humanitas e la pietas di Dante Alighieri prendono vita nelle terzine di ogni cantica: la fragilità e il tormento dei personaggi infernali, il perdono delle anime che espiano i propri peccati, la misericordia dei beati che godono della grazia divina.
Durante Alighieri, detto Dante, fu umano proprio come lo siamo noi, e considerarlo solo come poeta sarebbe dolorosamente diminutivo. L’universalità di ogni aspetto che gli appartiene non è solo frutto della fede cristiana. La Commedia narra l’esperienza di un uomo che ha viaggiato dentro sé stesso, che ha navigato fra le sue scissioni, nei meandri più oscuri del cuore umano, per scoprire che la virtù può splendere anche nel più frammentato degli animi.
Dante è un uomo come noi, e forse è per questo che la sua parola suscita fascino e paura.