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Amsterdam: l’occasione sprecata di David O. Russell

Lungamente atteso, Amsterdam, scritto e diretto da David O.Russell, arriva al cinema a sette anni da Joy, che aveva un po’ interrotto la scia positiva iniziata con The Fighter e proseguita con Il lato positivo e American Hustle, ed è un pasticcio che rivela ancora una volta il lato più incontrollato e incontrollabile di un regista ondivago e incostante, ma ancora capace di attrarre a sé un numero incredibile di star.
Amsterdam è una storia ingarbugliata e scombiccherata, una corale dominata da tre personaggi che si sono conosciuti al fronte bellico europeo nel 1918, fuggiti ad Amsterdam per reinventarsi una vita anticonvenzionale e ritrovatisi nella New York del 1930. Sono tre spatriati: un medico che al ritorno in America si specializza in protesi per invalidi di guerra, un avvocato afroamericano che ha capitalizzato lo spirito civile nella professione legale e una misteriosa infermiera. Sono i protagonisti di un crime uscito molto male che ricicla il tema del ricollocamento dei reduci nella società, i conflitti di classe, le risonanze dei totalitarismi europei nei settori elitari americani.

Come spesso accade Russell prende spunto da una storia vera e le cuce attorno un vestito immaginario che, delle volte, si allontana totalmente dalla realtà. In questo caso si tratta della cospirazione politica per rovesciare la democrazia e instaurare una dittatura connivente con il capitalismo avvenuta negli anni ’30: una tematica intrigante, che poteva e doveva essere gestita con più maestria.

La storia del cinema ci ha dimostrato come un cast stellare non implichi automaticamente la riuscita di un buon prodotto e come l’accozzaglia di decine di star del cinema rischi di portare solamente ad una grande perdita di soldi. Rami Malek è un cattivo talmente banale che già dalla prima inquadratura si intuisce che il personaggio che ci viene presentato come buono è in verità l’antagonista dei nostri tre eroi. Il trio, per giunta, è massacrato da una pessima interpretazione di John David Washington, salvato solo in parte dal gigante Christian Bale, forse l’unico personaggio davvero scritto bene nel film.

Probabilmente, Amsterdam è stata una pellicola troppo ambiziosa per un regista lunatico come Russell che ha abituato a tenere il pubblico costantemente sulle montagne russe. Il suo decimo sigillo presenta un montaggio scolastico e continui dialoghi ricchi di informazioni inutili o già ripetute, che fanno capire quanto il cineasta avesse timore di far perdere lo spettatore durante il lungo e scontato flashback. A salvare parzialmente il film è senza dubbio la sua resa resa stilistica: il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki è riuscito a dare continuità e senso alle immagini di un Russell timido anche nella costruzione delle scene.

Questo film è senza dubbio la delusione più grande firmata D.O.R., che in futuro dovrà rialzarsi con una pellicola impeccabile per poter tornare sulla cresta dell’onda. Magari con meno star di contorno dalle sciocche storie – la sottotrama degli ornitologhi è un pugno sullo stomaco – più valore alle immagini e meno paura di creare un’accozzaglia, sfoltendo le sceneggiature ricche di conversazioni inutili. Amsterdam, invece, è un caos che passa accanto senza colpire.