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Cosa non resterà di questo Sanremo

Un’altra settimana sanremese si è conclusa. Non è una novità che il termine dell’evento più seguito del mondo musicale italiano sia accompagnato da un’infinità di polemiche e commenti. Tra scene traboccanti di un immancabile gusto per il trash e il kitsch, intrattenimento puro e canzoni più o meno orecchiabili, alcuni momenti difficilmente saranno dimenticabili, altri non vediamo l’ora che vengano rimossi dalla nostra mente. E siamo nuovamente qui a parlare proprio di questi ultimi, delle polemiche e dei tristi tentativi di mostrarsi al passo con i tempi, con i cambiamenti sociali e di creare un raccordo musicale (ma non solo) tra le diverse generazioni che seguono il Festival.

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La co-conduzione femminile
Come ogni anno i ruoli femminili sono pochi e relegati a qualche discesa scenica dalla scalinata più famosa d’Italia, cambi d’abito e monologhi riguardanti temi sociali. E non stupisce che nessuna delle co-conduttrici sembri essere mai abbastanza preparata: le donne sanremesi sono figurine il cui merito è solo quello, come quest’anno ci ha spesso ricordato Gianni Morandi, di essere belle. Vallette chiamate per fare facciata, non a caso sempre in linea con i canoni estetici, costrette a riempirsi la bocca di temi sociali di cui spesso non sono esperte, e messe poi alla pubblica gogna per non averli trattati adeguatamente. Alla fine dei giochi, l’unico modo che viene loro concesso per validarsi è la firma per la loro stessa condanna. Sanremo 2023 non sfugge da questo copione.

L’ego-femminismo di Chiara Ferragni
Chiara Ferragni cerca di portare sul palco dell’Ariston i messaggi di cui ormai si fa portatrice anche sui social: il femminismo (liberale) ripulito di qualsiasi critica al sistema. Quello che ne esce è una sorta di autoelogio che termina con due righe relative alla pressione sociale sui corpi socializzati come donne. Ci si aspettava un monologo di Angela Davis? No, e probabilmente non sarebbe stato neanche adatto ad un evento di così grande diffusione. Eppure, per quanto la critica sociale possa essere ripulita della sua matrice rivoluzionaria, sicuramente incentrarla quasi esclusivamente sulla propria storia personale fa perdere di vista quale fosse il punto del monologo stesso. Anche perché l’esperienza di Ferragni difficilmente può essere generalizzata.

L’impresa impossibile di Paola Egonu
La seconda sera è stato invece deciso che Paola Egonu dovesse in qualche modo non solo improvvisarsi conduttrice, ma anche sobbarcarsi il compito di ripulire la Rai e l’Italia intera dalle accuse di razzismo. Ebbene Egonu si è trovata in una di quelle situazioni in cui ci si deve in qualche modo allo stesso tempo giustificare, scusarsi del nulla, difendersi, non passare vittime (anche quando lo si è), e mostrarsi anche fiera di essere italiana, tutto ciò parlando di razzismo, ma praticamente senza mai nominarlo. Tutto ciò dopo essere stata incalzata fin dalla sala stampa. Una sfida persa in partenza. Quello che rimane è solo l’enorme tenerezza nei confronti di Egonu, e l’ammirazione per essere riuscita a non mandare tutti i presenti a quel paese.

Il trattamento riservato a Chiara Francini
Il caso di Chiara Francini è decisamente più particolare. Francini presenta il monologo emotivamente più potente e più strutturato, eppure è rimasta relegata in chiusura alle ore 2:00. Nonostante il suo tentativo di portare un’esperienza di maternità non vissuta e ricolma di autocolpevolizzazione, l’unico commento che le è stato riservato è stato “Grazie di aver portato la tua esperienza”. Pare che Amadeus abbia afferrato a pieno il concetto. Da Francini magari si ripartirà per riuscire a parlare di maternità anche senza questi tipici toni tragici.

La trasgressione di Angelo Duro
L’intermezzo comico quest’anno è stato affidato ad Angelo Duro, introdotto come trasgressivo e irriverente. Effettivamente lo è stato, per un pubblico di seconda elementare. Portando in prima serata parole come coglione, bastardo, puttana e con un momento di altissima comicità in cui rimane in mutande. Tutto ciò per dimostrarsi trasgressivo in quanto uomo senza tatuaggi e astemio. In ultimo, per chiudere in bellezza, una giusta dose di misoginia (e di riflesso una infima considerazione del genere maschile): le mogli sono fastidiose, per mantenere stabile un matrimonio è necessario che l’uomo si sfoghi “andando a prostitute”. Che sia moglie o una sex worker (parafrasando sante o puttane) per Duro in ogni caso una donna vive in funzione di un uomo. L’unica cosa che rimane è la tenerezza nei confronti di Paola Perego e Giovanna Civitillo, costrette a fingere un sorriso divertito davanti alle ripetute inquadrature della telecamera. 

Sanremo Social
Il mondo dei social ha fatto da filo rosso tra le varie serate, tra Chiara Ferragni, il profilo Instagram di Amadeus e le dirette Raiplay. Peccato che probabilmente ricorderemo solo il cringe infinito di fronte ai meme presentati da Ferragni, e la rabbia dei social media manager. Un profilo che in cinque giorni raggiunge più di un milione di followers non può essere frutto delle mani di Josè Alberto, suo figlio. Spoiler: è frutto di un progetto pensato e strutturato da persone che lo fanno per lavoro. E spoiler, di nuovo: lo hanno fatto anche bene.

Come ogni anno Sanremo, oltre che una settimana di puro intrattenimento, si rivela essere uno specchio della società italiana attuale, del modo di pensare mainstream che prevale fuori dalle bolle in cui ognuno di noi vive. O perlomeno rivela la visione di chi al momento ricopre ruoli di potere, come per esempio i massimi vertici della Rai. E, purtroppo, sembrano essere ancora fermi al 1970.