Rovere – Crescere
«Riusciremo a crescere» cantano i rovere nel loro ultimo singolo. È un po’ la domanda con cui il Milan si interroga alla viglia della stracittadina di ritorno contro l’Inter. Le ultime uscite dei ragazzi di Pioli hanno visto in esse replicato il circolo vizioso che ha contraddistinto il crollo dell’inverno scorso. Come allora, proprio nelle settimane di avvicinamento al derby sono venuti a galla infortuni, inesperienza, incapacità di gestire i momenti topici. Qualcosa però è cambiato. Non c’è più Meitè come principale alternativa a centrocampo. Ibra non è più l’unico centravanti di ruolo e i ragazzacci hanno tutti un anno in più. Come conferma l’esplosione dirompente di Rafael Leao, uno dei pochissimi calciatori in Italia capace di saltare più avversari in serie e di cambiare l’inerzia del match con quel tipo di giocata.
Parlando di musica, il talentino rossonero si destreggia bene anche con le parole, oltre che tra gli avversari
Tatticamente, Pioli sembra essersi intestardito con la titolarità di Brahim Diaz, apparso sbiadito e disorientato in fase offensiva ma tenace e coriaceo in fase di non possesso, e con quella di Messias. L’underdog from the underground sembra però essere stato gravato di un peso ingiusto e impossibile da sostenere dopo le prime convincenti prestazioni.
Queste scelte, sommate all’assenza del presidente a contratto Kessiè, hanno inficiato l’arma migliore del Milan targato Pioli: l’attacco dei mezzi spazi. Al netto di una – per adesso – scarsa capacità realizzativa e di qualche uscita a vuoto, Alexis Saelemaekers è l’uomo chiave per il piano tattico dei rossoneri, insieme alla power unit del gioco Theo Hernandez (apparso in crescita). Dietro, a dare garanzie, solitamente c’è Fikayo Tomori: lo staff rossonero lo ha recuperato in extremis per questo match; c’è da capire quanta pretattica ed astuzia ha usato Pioli nel dire che probabilmente non partirà dall’inizio.
I numeri rivelano un bilancio umiliante se si considerano gli ultimi dieci scontri – tre sconfitte, due pareggi e solo cinque vittorie – se paragonati alla marcia schiacciasassi dell’avversaria di domani, che ha pareggiato solo contro l’Atalanta, vincendo le altre nove. Anche da un punto di vista di gioco, occasioni create, realizzazioni e clean sheet, cifre e statistiche rendono il pronostico quasi scontato.
Ciò che realmente differenzia le due squadre è la capacità di gestione dei momenti. Basti confrontare i fatti della partita con lo Spezia – al netto dell’errore precipitoso ma umano dell’arbitro Serra – alla sfida dei bauscia contro il Venezia.
Il Milan ha giocato male contro i liguri non riuscendo a chiudere la partita in tempo utile prima del pareggio meritato degli uomini di Thiago Motta. Il torto arbitrale e lo stato di grazia di Provedel sono state le micce per far detonare lo psicodramma rossonero, culminato con il tragicomico vantaggio avversario a tempo scaduto. Invece, l’Inter ha giocato malissimo con il Venezia, ha meritato di andare sotto, ma ha gettato il cuore oltre l’ostacolo consapevole della propria forza, sigillando la partita con l’ennesimo late goal (e come se non bastasse è arrivato anche uno specialista come Caicedo, ndr).
Il derby di domani rappresenta per il Milan, pacificamente, l’ultima corsa per continuare a inseguire il sogno tricolore e probabilmente dovrà affrontare la sfida contro i cugini senza il proprio lider maximo. Non Fidel bensì Zlatan Ibrahimovic, ancora alle prese con una fastidiosa infiammazione al tendine causata dal bastardo terreno di San Siro.
È un Milan al bivio, che capirà a che punto è la sua crescita. «Giorni in cui non ti vuoi proprio alzare” o “Giorni in strada, giorni di festa nazionale».
di Lorenzo Sangiuliano
Edoardo Bennato – L’isola che non c’è
«Seconda stella a destra, questo è il cammino» cantava Edoardo Bennato. E l’impressione è che Beppe Marotta abbia utilizzato proprio questi versi per convincere Simone Inzaghi a raccogliere la pesantissima eredità di Antonio Conte, fuggito verso altri lidi nella convinzione che l’Inter non potesse assecondare le sue onerose ambizioni. Le vittorie, tuttavia, portano consapevolezza e neanche le cessioni illustri di Lukaku e Hakimi sono riuscite ad attenuare la distanza con le dirette concorrenti. Per l’ennesima volta, Marotta è riuscito a ribadire quanto i risultati ottenuti sul campo rappresentino la sublimazione del lavoro di programmazione societaria. Merito anche di Inzaghi, che a febbraio è già riuscito a mettere in bacheca il primo trofeo da allenatore dell’Inter, ha strappato il pass per gli ottavi di finale di Champions League e ha migliorato tutti i numeri da record della scorsa stagione. Tutto ciò dopo un inizio non particolarmente esaltante: basti pensare che fu il Milan ad arrivare al derby d’andata con sette lunghezze di vantaggio. Ma in novanta giorni lo scenario si è stravolto: l’Inter ha ritrovato solidità (perché le prestazioni non erano mai mancate) e ha inanellato nove vittorie nelle ultime dieci partite di campionato, mentre le concorrenti – Milan compreso – non sono riuscite a tenere il passo.
Per rinfrescare la memoria, questo il riassunto del derby d’andata, chiuso sull’1-1 dal rigore di Calhanoglu e dal successivo autogol di De Vrij.
Se non ci riuscisse nello scontro diretto, l’Inter non avrebbe neanche bisogno di arrivare sull’Isola che non c’è: la seconda stella sarebbe sempre più vicina.