«Se mi chiedi se vincerò mai il Giro d’Italia, io ti rispondo di no, che è impossibile, perché non sarò mai uno da tappe. È puro realismo. È soffrire per prendersi la gloria. Ma solo quella che mi spetta»
Nell’intrigante intervista concessa a D Repubblica, Filippo Ganna fa verso sé stesso quello che nessuno è in grado di fare: si pone un limite, fissa una linea non oltrepassabile all’apparentemente infinita espansione del suo talento.
Il recente passato sembrava averci insegnato che niente può davvero frapporsi tra Top Ganna – un soprannome già diventato praticamente un brand – e la vittoria. Negli ultimi due anni, con i colori della Ineos Grenadiers e della nazionale italiana, il venticinquenne di Verbania ha letteralmente fatto incetta di trionfi. Ovunque nel mondo scattasse un cronometro, su strada o in pista, ad inchiodarlo per primo c’era lui.
È stato così in due degli ultimi tre campionati nazionali, negli ultimi due mondiali e in tutte le crono – cinque in totale – degli ultimi due Giri d’Italia.
Eppure, nonostante la fatica disumana di sfogare quasi 600 watt su una bicicletta in una posizione atrofizzante per decine di minuti, Ganna continua ad inseguire il trionfo successivo in maniera febbrile. Perché se è vero che «lo sport fa bene, ma lo sport agonistico no: ti logora», è anche vero che sacrificare l’intera vita al mestiere di corridore professionista è un modo per «arrivare a vivere i momenti di gloria che solo la vittoria ti regala».
E allora eccolo, nel 2020, scappare a conquistare una vittoria in solitaria alla quinta tappa del Giro d’Italia, quella con arrivo a Camigliatello Silano, staccando il gruppetto di fuggitivi per un assolo di 17 chilometri ispirato dal compagno di squadra Salvatore Puccio. Il veterano della Ineos, racconterà Ganna a fine tappa, lo ha caricato con delle indicazioni tanto semplici quanto iconiche: «Mangia, bevi, stai calmo, non strappare». Il popolare portale Bidon le ha stampate su delle magliette, facendolo entrare ufficialmente nell’album dei ricordi indelebili degli appassionati di ciclismo.
Ganna ha imparato a non strappare, anzi a ricucire: una volta sceso dalla bici fa da collante per i compagni, con gli occhiali da vista e l’aria di chi non sembra soffrire né pressioni né preoccupazioni.
L’anno scorso, al Giro, dispensava caffé e sorrisi sull’autobus, per poi presentarsi al chilometro zero e guidare i suoi per centinaia di chilometri ogni giorno, col suo corpaccione da scultura greca esposto al vento ed alle intemperie.
Allo stesso modo ha guidato, in pista, il quartetto dell’inseguimento a squadre all’oro olimpico a Tokyo 2020. Pochi giorni dopo aver fallito l’assalto al podio nella cronometro individuale su strada, complice anche un profilo altimetrico proibitivo del percorso, Ganna ha letteralmente distrutto la concorrenza nel velodromo di Izu. Già determinante sia nelle qualficazioni che in semifinale, il suo ultimo chilometro nella finale contro la Danimarca è puro surrealismo sportivo: ha cancellato il vantaggio di quasi un secondo degli avversari, stampato il nuovo record mondiale di specialità (3:42.032), ma soprattutto trascinato Simone Consonni, Johnatan Milan e Francesco Lamon ad una medaglia leggendaria per lo sport italiano. Per dirla con le parole dell’incredulo Luca Gregorio, telecronista di Eurosport: «Siamo nell’Olimpo, siete nell’Olimpo!»
Nonostante le sue dichiarazioni, però, sembra quasi che a Filippo Ganna essere il cronoman più forte del pianeta ed uno dei pistard più determinanti della storia (solo l’inspiegabile cancellazione dell’inseguimento individuale dalle ultime Olimpiadi lo ha privato di un ulteriore oro in una specialità in cui è quadri-campione del mondo) non basti.
Non bastano neanche a diversi appassionati, oramai talmente cullati dalla sequela di successi da non riuscire più a farne a meno, dandoli anzi quasi per scontati.
E allora l’acquolina in bocca arriva a pensarlo sulle pietre infernali della Parigi-Roubaix, a sventolare di nuovo la bandiera italiana dopo il colpaccio di Sonny Colbrelli dello scorso anno. Su un percorso duro, lungo e insidioso, senza pendenze, Ganna potrebbe sfogare tutti i cavalli del suo motore per sé stesso, mettendo alla frusta anche i più temibili contendenti.
Nella stanza, però, c’è un elefante molto più grande: quello che vuole il piemontese uomo da grandi giri, leggero abbastanza da non dilapidare sulle salite i grandi distacchi che potrebbe accumulare durante le cronometro. Per ora si tratta di un’ipotesi lontana, che implicherebbe una radicale trasformazione fisica, tecnica e di abitudini a cui nessuno sembra voler andare incontro.
Chissà, però, che in un futuro non così remoto non diventi il nuovo obiettivo nel mirino di uno dei talenti più fulgidi dello sport italiano contemporaneo. D’altronde, Filippo Ganna ci ha abituato ad andare sempre oltre i suoi stessi limiti, ad abbattere nuovi ostacoli e centrare nuovi traguardi. Per citare un classico dei Daft Punk: Harder, Faster, Better, Stronger.