Si ritorna alle urne: dopo l’ennesima crisi di governo, l’Italia è chiamata ad eleggere un nuovo parlamento nella giornata di oggi, dalle 7 alle 23. Si tratta della prima sessione elettorale autunnale nella storia repubblicana del nostro paese, ed in generale dal 1919. Per l’occasione, abbiamo delineato un pagellone di stampo calcistico per i vari partiti che hanno corso questa folle campagna elettorale tra luglio, agosto e settembre.
Italexit | Gianluigi Paragone, 6: i meriti dell’ex-senatore pentastellato Gianluigi Paragone sono diversi.
In primis, l’essere riuscito a spacciare per un partito credibile (gli ultimi sondaggi pre-elettorali lo piazzano tra il 2 ed il 3%) un accrocchio di movimenti di estrema destra e negazionismi vari. Tra i candidati all’uninominale – oltre al leader delle proteste no Green Pass, Stefano Puzzer – troviamo volti storici di CasaPound, come ad esempio Carlotta Chiaraluce. Secondo una lunga inchiesta di Fanpage, inoltre, i vertici del partito sono fortemente influenzati nelle decisioni dagli ex-missini (con un passato anche in Alleanza Nazionale e Lega) William De Vecchis e Mauro Gonnelli.
Il programma, invece, è riassumibile con una lunghissima serie di no: ovviamente no vax, ma anche no UE, no euro, no NATO, no OMS, no FMI, no Banca Mondiale, no guerra, no SPID, no Green Pass. Mentre qualcuno cerca di capire se all’origine del programma elettorale ci sia solo una forte avversione di Paragone verso gli acronimi, lui dimostra che ci si può avvicinare alla soglia di sbarramento anche esponendo le simpatie fasciste direttamente nei listoni elettorali. FACCETTA NON-EUROPEA
Forza Italia | Silvio Berlusconi, 6.5: i suoi guai giudiziari e l’ascesa di Salvini ci avevano quasi fatto arrendere all’assenza del Cavaliere dalla scena politica. Proprio quando ci stavamo abituando a non avere più a che fare con barzellette sessiste, stereotipi razzisti e gaffe internazionali, eccolo che rientra in scena dalla porta principale del nuovo mondo: TikTok.
Tirato a lucido e liftato all’inverosimile, Berlusconi ha cavalcato questa campagna elettorale riesumando diversi tormentoni della sua carriera, quasi tutti in salsa social: dal Partito Comunista (questo video è già leggenda) alle neo-diciottenni, dalle barzellette agli aneddoti su Gheddafi, da Dudù a Putin. Il programma elettorale è grossomodo allineato a quelli degli ultimi anni (aiuti agli imprenditori, riforma della giustizia, elezione diretta del presidente della Repubblica, flat tax, misure restrittive contro l’immigrazione), e la sensazione è che più che la percentuale di voti assoluta a decidere il peso di FI in parlamento sarà il rapporto di forza con gli altri due partiti del centrodestra. TIK TOK TAK
Lega | Matteo Salvini, 5: vi ricordate di quando Salvini e la Bestia tenevano in pugno un terzo dell’elettorato? I bei tempi dei rosari sventolati, del «chiudete i porti», del «prima gli italiani»?
Dopo la crisi del Papeete, il Capitano non è stato più lo stesso: superato oramai da mesi da Giorgia Meloni come riferimento della coalizione di centrodestra, è stato responsabile di un calo dei consensi per il suo partito negli ultimi due anni (-18% circa per i vari sondaggi). Così, anche il politico maggiormente in grado di sventolare slogan per qualsiasi tematica, si è ritrovato con in mano un motto che suona dubitativo nella sua stessa natura: «Credo».
In una campagna elettorale in cui ogni leader è sembrato più interessato a diventare meme di sé stesso che a portare dei contenuti veri e propri, lui – che di materiale meme ne ha già fornito a pacchi – è diventato quasi una caricatura di sé stesso, finendo a chiamare bro i suoi followers in una delle sue centinaia di dirette instagram. BRO, CREDO DI NO
https://www.facebook.com/ChiamarsiMC/posts/2679850148729343
Fratelli d’Italia | Giorgia Meloni, 6.5: in una puntata del podcast Canditi dedicata alla tornata elettorale, si paragonava il centrodestra ad una squadra di calcio che, in vantaggio per 4-0, durante la campagna si limita a fare melina a centrocampo aspettando di certificare la propria vittoria. Giorgia Meloni è il Sergio Busquets di questo tiki-taka all’italiana: detta i tempi, organizza i compagni, ma non ha mai bisogno di verticalizzare o di accelerare il ritmo per portare a casa il risultato. Minimizza, tra faccette e risatine, le accuse di apologia del fascismo, anche quando sui social spunta un video in cui, a 19 anni, elogia Mussolini come un buon politico parlando ad una tv francese. Riesce bene a tenere a bada i suoi invadenti compagni di squadra: quando Salvini sbotta di interrompere gli aiuti all’Ucraina, lei afferma il contrario dopo meno di 24 ore. Smussa gli estremismi, fa buon viso, e riesce a non scivolare neanche quando un manifestante per i diritti LGBTQ+ piomba sul palco di un suo comizio.
https://www.instagram.com/reel/CisWplDDZKh/?utm_source=ig_embed&ig_rid=f4682445-d62f-42ca-adb2-2ed2c9e7c614
Addirittura, si può qualche giocata di fantasia: si fa filmare mentre prepara panzerotti in Puglia (due anni fa toccava alle orecchiette, in quella che era evidentemente la prima parte del corso di cucina popolare), condanna un fantomatico elenco di devianze dei giovani italiani da curare con lo sport, flirta dal palco di un comizio con una sua fan. Il suo partito è talmente poco impensierito dai rivali politici, che se li costruisce in casa: in questo caso il terribile cartone animato Peppa Pig, reo di rappresentare in un episodio una coppia di genitori omosessuali.
Così come allo stadio, però, le frange più accanite del tifo organizzato non vanno mai scontentate: e allora non una parola sui numerosi esponenti di FdI coinvolti a più livelli in organizzazioni ed eventi dichiaratamente fascisti, non una smentita sulle radici estremiste testimoniate dalla fiamma tricolore inserita nel simbolo elettorale, e per gradire continue strizzatine d’occhio ai nostalgici, mascherate da nazionalismo. IL A AUSSI FAIT DE BONNES CHOSES
Azione | Carlo Calenda, 5: l’unica informazione utile che viene fuori dalla propaganda elettorale dell’ex-PD è che nessuno ama Carlo Calenda quanto Carlo Calenda. Ad ogni occasione, il leader di Azione si fionda e mette la sua faccia in primo piano. Ed allora dà il via libera all’alleanza col PD, salvo ritrattarla perché Letta ha allargato la coalizione a Sinistra Italiana e ai Verdi. E ancora, dopo il «mai con Renzi», arriva l’annuncio della formazione del cosiddetto Terzo Polo, proprio con Italia Viva.
Situazione drammatica anche a Castel Sant’Angelo. C’è una persona che vive accampata in mezzo alla frasche, cucinando con rischio di incendi. Questo dovrebbe essere il centro del Giubileo per il quale Roma è indietro su tutti i progetti.#ItaliaSulSerio pic.twitter.com/62nnd0GWqr
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) September 20, 2022
In un video pubblicato su twitter gira per Roma, scandalizzandosi – e citando la preparazione per l’imminente giubileo – per un senzatetto sorpreso a cucinare nel verde a Castel Sant’Angelo. Al di là del fastidioso classismo, ai più non è sfuggito come lo stesso Calenda si sia dimesso dalla carica di consigliere, proprio nella capitale, a dicembre 2021.
Se le attenzioni non fossero abbastanza, il battitore libero di questa campagna elettorale ci regala anche uno dei momenti più surreali di una folle estate: non invitato al dibattito televisivo tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, mette in piedi una diretta parallela in cui, in contemporanea, risponde alle domande poste da Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera. REALTÀ VIRTUALE
Italia Viva | Matteo Renzi, s.v.: chi l’ha visto? Dopo l’alleanza con Calenda, Matteo Renzi ha messo a referto solo un paio di comparsate e qualche sparata ai microfoni, ma sembra aver perso totalmente la sua verve. Nessun incontro con magnati arabi, nessun referendum su cui giocarsi la sua stessa vita: l’ex segretario del PD è sembrato smarrito e senza appigli per inserirsi nel dibattito pubblico dopo aver causato la crisi di governo sfociata nelle elezioni anticipate. Conoscendo il personaggio, il colpo di scena è sempre dietro l’angolo, ma al momento Renzi somiglia più ad una riserva di lusso, oscurata dalla figura di Calenda. DESAPARECIDO
Movimento 5 Stelle | Giuseppe Conte, 5: diventato leader dei pentastellati, liberatosi involontariamente dell’altro nome pesante del partito, Giuseppe Conte ha mostrato il meglio del suo trasformismo durante questa campagna elettorale. Dopo aver fatto il premier in un governo con il PD e in uno con la Lega, dopo aver sostenuto il precedentemente odiato Draghi durante l’ultima legislatura, l’ex-avvocato del popolo ha continuato sulla stessa falsariga, contraddicendosi a distanza di pochi giorni sui temi più disparati, dalla NATO all’invio di armi in Ucraina. Alla fine, si ritrova in risalita negli ultimi sondaggi (che lo danno attorno al 14%), trascinato da un forte consenso al sud. Per il partito dell’onestà, dunque, la coerenza sembra poter passare piuttosto sottotraccia. CAMALEONTE
Impegno Civico | Luigi Di Maio, 5.5: ci sembrava di averle viste tutte, e invece all’appello mancava un ministro degli esteri in volo d’angelo sollevato dai camerieri della storica trattoria Nennella, a Napoli, sulla colonna sonora di Dirty Dancing.
Più della sua rottura col Movimento 5 Stelle (che strategicamente gli ha permesso di evitare la questione del terzo mandato), più della querelle sul nome del suo nuovo partito (Insieme per il futuro, poi confluito assieme a Centro Democratico in Impegno Civico, risultava un nome già utilizzato da decine e decine di liste a livello locale), più della discussa alleanza con il centrosinistra, l’immagine che rimarrà di Di Maio da questa campagna elettorale è in quel video: un ministro che vola libero, a braccia aperte, sopra una platea festante. NESSUNO PUO’ METTERE BABY IN UN ANGOLO
Partito Democratico | Enrico Letta, 5: il Partito Democratico, a capo della coalizione di centrosinitra, aveva una sola occasione per ribaltare le sorti di queste elezioni: una campagna elettorale spregiudicata, aggressiva, incalzante, per consumare alle fondamenta il consenso del centrodestra e portare alle urne una parte dei milioni di indecisi ed astenuti.
E poi, invece, arriva Letta. Il segretario, che nella sua carriera non ha mai brillato per istrionismo e personalità, ha deciso di impostare la campagna elettorale su una linea che tante gioie ha regalato al suo partito del recente passato: l’attacco, timido e sconclusionato, alla destra. Come ai tempi del bunga bunga Berlusconi riusciva a banchettare puntualmente ad ogni tornata elettorale girando a suo vantaggio le critiche ad personam, Giorgia Meloni non ha fatto alcuna fatica a parare e rispedire al mittente le accuse di apologia del fascismo ed anti-costituzionalità mosse dal suo rivale. Insomma, per il centro-sinistra, ancora una volta, la tattica del «votate noi per non far vincere loro» si è dimostrata solida tanto quanto l’orribile bus elettrico noleggiato da Letta per spostarsi tra Alessandria e Torino: al pari di quello, rischia di lasciarlo a piedi in un’anonima piazzola di sosta. AUTOSTOP
Sinistra Italiana/Verdi | Angelo Bonelli/Nicola Fratoianni, 5.5: l’alleanza tra SI e il partito dei Verdi, in un’epoca in cui l’ambientalismo entra in maniera sempre più invadente – ed obbligata – nel quotidiano di tutti, aveva il potenziale per porsi come alternativa a sinistra del PD, con buone probabilità di alzarsi sopra la soglia di sbarramento. E invece, ancora una volta, Bonelli e Fratoianni si sono accontentati di fare da stampella al principale partito di centro(molto)-sinistra(poca), vedendo le loro idee diluite all’interno del calderone di prudenza della coalizione e le loro istanze sparire letteralmente nell’oceano del dibattito politico. Il surreale topos di questa questione si raggiungerà in Emilia Romagna: il capolista al plurinominale del partito sarà Pippo Civati, segretario di Possibile, ma un voto per lui confluirebbe automaticamente, all’uninominale, in un voto per il candidato della coalizione: Pier Ferdinando Casini.
Letta, poi, nei loro confronti si è comportanto come il miglior casanova: li ha scelti a dispetto di Calenda, salvo specificare quasi immediatamente che non ha nessuna intenzione di formare un governo con loro. SEDOTTI E ABBANDONATI
Unione Popolare | Luigi De Magistris, 6: all’ex sindaco di Napoli va il merito di essere riuscito a dare finalmente un volto associativo a tutto il microcosmo della sinistra extraparlamentare, da Potere Al Popolo in giù. Peccato che nessuno se ne sia accorto. La potenziale alternativa a sinistra del PD è rimasta fuori da quasi tutte le valutazioni, i sondaggi e le infografiche, arrivando addirittura a rispondere in prima persona, commentando con i vari punti del programma, ai vari post sui social che mettevano a confronto le posizioni delle varie liste.
Insomma, dopo mille acrobazie per raccogliere le firme e presentare il simbolo, la sostanza rimane quella del recente passato per la sinistra non di centro: un gruppo ristretto che non riesce a comunicare con efficacia all’esterno, e che rischia di schiantarsi ancora una volta sul muro della soglia di sbarramento. Gli ultimi sondaggi in cui il partito di De Magistris è riuscito a scampare la triste dicitura di altri davano UP all’1% circa, e le foto dei comizi nelle piazze – che ricordano numericamente una media assemblea di condominio di un palazzo di Milano – sembrano confermare il senso di solitudine attorno all’ultimo arrivato sul panorama politico. LONELY, I AM SO LONELY
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