Si sente parlare sempre più spesso di inclusione e di superamento degli stereotipi, ma la narrazione che viene fatta delle minoranze raramente è lasciata ad esse in prima persona. Questa lacuna nasconde una grossa parte del discorso: mancano le esperienze dirette delle persone e, soprattutto, la riappropriazione delle narrazioni che vengono fatte su di esse. Ma in questo periodo storico i social permettono di espårimersi ed urlare a gran voce a molte persone prima costrette al silenzio.
È il caso di I’m Like That, format YouTube nato proprio con il fine di dare voce a chi per troppo tempo non ne ha avuta una. Progetto finanziato da We Are Era, si tratta di una sorta di talk show condotto dalla splendida Daphne Bohemien, attivista e icona del Toilet di Milano. Si parla di abilismo, razzismo, cultura queer e discriminazione interna ed esterna comunità LGBTQIA+, non binarismo, ma anche di attivismo e di arte drag.
Per ora composto da una sola stagione, conclusasi lo scorso 14 gennaio, sembra essere destinato ad un seguito quest’anno.
Iconica l’apertura di ogni episodio: «Quali pronomi devo utilizzare? E, qualora volessi farlo, come ti definiresti?». Chiedere i pronomi da utilizzare diventa una prassi, una consuetudine cui potremmo lentamente abituarci tuttɜ e dimostra come spesso bastino poche parole per rendere tutto molto più semplice. Allo stesso modo chiedere ad una persona come e se voglia definirsi, apre la possibilità di inserirsi in una, mille, o nessuna delle categorie la nostra società ha creato, o anche di crearne di nuove.
https://www.youtube.com/watch?v=ZLEbbSnMJ0c
Ma la forza più grande di questo progetto sta proprio nella portata politica che ha la creazione di un safe space per tuttɜ pensato e realizzato da e per persone marginalizzate. Si tratta di un modo per avere il controllo delle proprie narrazioni, dando allɜ intervistatɜ l’occasione di potersi raccontare in prima persona, invece che lasciare il racconto in mano a chi non ha mai vissuto una discriminazione sulla propria pelle. Questo vuol dire in primis superare gli stereotipi, in quanto siamo in ascolto di persone reali che, ricche di tutte le sfaccettature che le caratterizzano, si raccontano e ci raccontano chi sono quellɜ che la società tende a nascondere. E l’aspetto politico sta proprio in questo: nel far crollare il racconto che si fa di se stessɜ in una società in cui alcuni diritti sono negati, in primis quello all’autodeterminazione, descrivendo cosa significhi vivere un gradino sotto tuttɜ lɜ altrɜ.
I’m Like That ci dà l’occasione di metterci in ascolto, di dare uno sguardo sulla vita degli altri e sul peso che portano sulle spalle. È dimostrazione di quanto a volte sia semplice cambiare le cose, dare rappresentazioni nuove e soprattutto vere a chi sembra non avere mai avuto posto in questa società. Eppure quel posto è sempre stato occupato, in un angolo oscurato e silenziato, ma pur sempre pieno. Ora siamo qui e lo stiamo lentamente illuminando, e chi occupava quello spazio finalmente viene visto ed ascoltato.