«Guardami! Ti sto parlando!». Daniil Medvedev ha gli occhi spiritati mentre grida all’indirizzo di Jaume Campistol, giudice di sedia della sua semifinale contro Stefanos Tsitsipas agli Australian Open 2022. L’ufficiale ha lo sguardo effettivamente diretto nella direzione opposta, puntando alle tribune della scintillante Rod Laver Arena, illuminata a giorno dai fari. La sua intenzione è chiaramente quella di stemperare le proteste del tennista russo, che tra insulti più o meno velati sta lamentando il coaching del padre-allenatore nei confronti del suo avversario.
Ad un tratto, le urla diventano sussurri, gli occhi assetati di sangue improvvisamente vispi, la rabbia lascia spazio ad una tagliente ironia: «Se non intervieni sei un… Come posso dire… Piccolo gatto» è il furbesco gioco di parole [in inglese small cat è una parafrasi di pussy, n.d.r.] usato dal tennista russo mentre si dirige verso il bagno. Al suo ritorno in campo, spazzerà via l’avversario per guadagnarsi la finale col punteggio di 7-6, 4-6, 6-4, 6-1.
Se guardate con attenzione potete vedere il momento in cui la sua rabbia si trasforma inquietantemente in sferzante ironia.
Questi 30 secondi sarebbero perfetti per descrivere Medvedev a chi non lo conosce: una persona assolutamente criptica, che sembra quasi nutrirsi in maniera oscura del caos attorno a lui. E quando non c’è, lo crea.
Sin dagli inizi, la sua figura è stata forzosamente incasellata nello stereotipo di genio e sregolatezza. Ai colpi sbilenchi ma efficaci, spesso lasciati partire accartocciando un corpo di quasi due metri come se fosse di pongo, Medvedev ha sempre affiancato scenate degne del miglior John McEnroe.
Come quando, a 21 anni, lanciò delle monetine all’arbitro dopo la sconfitta subita da Ruben Bemelmans al secondo turno di Wimbledon 2017. Di lì a poco, l’All England Club gli comminerà la seconda multa più salata della propria storia, e la narrazione del bad boy inizierà a prendere forma.
In realtà, osservando le immagini di quel momento, il russo appare tutt’altro che sregolato: non urla, né parla, il suo viso è inespressivo, come se accusare platealmente di corruzione un arbitro nel tempio laico di questo sport fosse prassi.
Un pezzo di teatro d’improvvisazione da attore navigato.
Quattro anni e mezzo dopo, lunedì 28 febbraio 2022, Medvedev è diventato ufficialmente il nuovo numero uno del mondo del ranking ATP. Si tratta del primo nome diverso da Federer, Nadal, Djokovic o Murray a sedere sul trono dopo 6958 giorni. L’ultimo era stato Andy Roddick, nel 2004.
Nell’ultimo biennio il russo ha collezionato, tra gli altri, un titolo di Master alle Finals 2020, una vittoria agli US Open 2021 – quasi disegnata appositamente per rovinare la festa del Grande Slam stagionale a Novak Djokovic – ed una finale da antologia persa in rimonta da Rafa Nadal agli Australian Open 2022.
In generale, negli ultimi quattro anni Medvedev è sembrato riuscire a far avanzare il suo gioco e la sua follia controllata parallelamente. Più la sua difesa diventava impenetrabile, più sembrava divertirsi a zittire un pubblico ostile; più i suoi colpi sbracciati riuscivano a mettere in difficoltà l’avversario di turno, più rendeva teatrali le conferenze stampa; più prendeva forma il suo servizio letale , più plateali e cervellotiche diventavano le sue discussioni con gli arbitri.
Dallo stile provocatorio alla capacità surreale di difendere metri dietro la linea di fondo, passando per le battute piccate nei confronti dei giornalisti, in tanti hanno evidenziato una similitudine netta tra il russo ed il primo Djokovic. Il tratto che li accomuna in maniera più evidente, però, non riguarda né il campo né le dichiaraizoni ai microfoni: come il serbo dieci anni fa, Medvedev ha rotto lo status quo, attentando al dominio tecnico, psicologico e mediatico del circuito.
Se per Nole il turning point è stata la leggendaria stagione 2011, in cui ha battuto ripetutamente con imbarazzante facilità Murray, Federer e Nadal entrando a gamba tesa nel gotha del tennis mondiale, per Medvedev è forse stata proprio la vittoria a Flushing Meadows lo scorso settembre.
Negli ultimi anni, pochissimi esseri umani hanno fatto sembrare così impotente Novak Djokovic.
Affrontando Djokovic, per certi versi il villain del circuito, ad un passo dal titolo che lo avrebbe issato in un sol colpo sopra a Federer e Nadal nel conteggio degli Slam, per il russo sarebbe stato facile recitare il ruolo dell’eroe buono, alla ricerca dell’impresa della vita.
Invece, come spesso gli succede, ha scelto la strada più difficile: rimanere fedele a sé stesso, ai suoi numerosissimi spigoli, sfidando e superando Djokovic sul suo stesso terreno. Non solo tirare più forte, piegarsi di più, correre più veloce e sbagliare meno, ma anche riuscire magicamente a farsi odiare di più dal pubblico. Così, mentre il serbo scoppia in lacrime ascoltando migliaia di persone intonare il suo nome prima del game decisivo – una rarità per qualcuno che è abituato ad essere quasi sempre, per decine di motivi, quello che in tanti vorrebbero vedere perdere – Medvedev si prepara a freddarlo come un crudele esecutore: triplo 6-4 e primo Grande Slam conquistato in carriera.
Anche la sua celebrazione è criptica e lascia tutti interdetti: si lascia cadere alla sua sinistra, immobile e con la bocca spalancata, mimando un pesce all’amo. In conferenza stampa, dirà di aver semplicemente fatto un «L2+sinistra», ovvero la combinazione di tasti per riprodurre quella movenza su FIFA. Non esattamente la prima cosa che verrebbe in mente ad ognuno di noi dopo aver centrato l’obiettivo di una vita intera.
Il russo è altrettanto difficile da leggere tatticamente: può mescolare traiettorie e rotazioni praticamente all’infinito, impedendo all’avversario di trovare ritmo e punendolo in accelerazione alla prima occasione utile. Non è un caso se contro di lui quasi tutti sembrano la peggior versione possibile di loro stessi, imprigionati dalle molteplici catene del suo tennis: un servizio chirurgico, una capacità atletica innata che gli permette di tenere sempre vivo lo scambio ed un rovescio fulmineo da usare sia per spostare l’avversario che per chiudere il punto. La dissonanza tra la sua stazza e la rapidità con la quale copre ripetutamente il campo è quasi comica, ma lo rende una specie di creatura fantastica contro la quale nessuno vuole avere a che fare, soprattutto da quando è riuscito a trovare continuità sia all’interno della partita che di una stessa stagione.
Se pensate di avergli fatto punto, auguri.
Il successo non ha, ovviamente, mitigato il suo atteggiamento provocatorio: da quando è diventato campione slam ha inanellato una serie di episodi da Medvedev che si aggiungono alla collezione di scene da ricordare, nel bene e nel male.
Alle ATP Finals, già qualificato alle semifinali, si è beccato con il pubblico ed ha simulato uno sbadiglio durante la partita contro Jannik Sinner. Alla Coppa Davis di Madrid – poi vinta dalla sua Russia – ha candidamente dichiarato sorridendo che battere la squadra di casa era stato «il miglior momento della settimana», suggerendo poi al pubblico (che lo fischiava) di provare a fare il tifo per lui se davvero avesse voluto farlo perdere.
E ancora in Australia, dove ha prima preso in giro i presenti sugli spalti al termine del pirotecnico secondo turno contro Nick Kyrgios e, successivamente, ammesso di aver «pensato a cosa avrebbe fatto Djokovic» (espulso alla frontiera appena una settimana prima) per rimontare due set su Felix Auger-Aliassime ai quarti di finale.
Una delle scene più incredibili degli ultimi anni nel circuito: Medvedev e Bublik, assieme, ridono della giudice di sedia dopo una chiamata di punto disturbato alquanto fantasiosa. «This is gonna be on Tennis TV, bro!», e infatti c’è finito.
Insomma, a spezzare l’egemonia dei Big Four è arrivato un ragazzone russo dinoccolato che ha stravolto le dinamiche del tennis contemporaneo: in un’epoca di fenomeni teen, iper professionalizzati fin da ragazzini, Medvedev ha avuto bisogno di tempo (ha appena compiuto 26 anni, frequenta il circuito ATP da quasi 10) per perfezionare il suo gioco e giungere a piena maturazione.
Nel 2022, il russo è un tennista completo, arcigno e potente, ma soprattutto un intrattenitore nato, capace di manipolare praticamente a suo piacimento la pressione schiacciante di giocare a tennis a livelli altissimi. Adesso, anche la classifica testimonia che è lui l’uomo da battere: il nemico pubblico numero uno.