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PUPILLI – Marcus Smart: l’ultimo Bad Boy

É l’estate del 2014 e i Boston Celtics devono ripartire da zero dopo un ciclo vincente costruito sulle spalle di Kevin Garnett, Paul Pierce e Ray Allen. È l’anno di Kevin Durant MVP, e di Andrew Wiggins come prima scelta assoluta del Draft. Quella notte, dopo Joel Embiid e Aaron Gordon, alla numero sei i Celtics scelgono una guardia di 190cm proveniente da Oklahoma State University: Marcus Smart.

Flash forward: siamo nel 2022, i Boston Celtics sono la squadra più elettrizzante dei Playoffs, e riescono a spazzare via con uno schiacciante 4-0 i Brooklyn Nets della coppia Durant-Irving. Se i diciassette volte campioni NBA sono tornati a correre sui binari giusti verso il Larry O’Brien Trophy è merito di un organico formidabile, capace di chiudersi come una muraglia ad ogni attacco avversario e segnare praticamente da tutte le posizioni del campo. In questo contesto, Smart è stato in grado di cementare la sua leadership dopo una regular season difensivamente impeccabile, in cui ha massacrato mentalmente ogni sfidante che bussava alle porte del TD Garden. Prestazioni che gli sono valse il premio di miglior difensore della lega, che ha ricevuto direttamente dalle mani di The Glove, Gary Payton: l’ultimo prima di lui a vincerlo giocando da guardia, addirittura nel 1996.

«Ho sempre detto che senza quelli che noi chiamiamo haters non ce l’avrei mai fatta. Mi ispirano a continuare a cercare la perfezione in quello che faccio. Posso dire solo grazie, e che continuerò di questo passo». Smart non si è di certo fatto tanti amici da quando calpesta i parquet della lega più importante del mondo, regalando ai suoi avversari un trash-talking da far invidare anche personaggi come Draymond Green e Joel Embiid. Da quattro stagioni mantiene la media di 1.7 palloni recuperati e 3.2 rimbalzi, servendo 5.9 assist a partita. Numeri da difensore d’èlite che gli hanno permesso di superare Rudy Gobert, 3 volte Defensive Player of the Year, che anche stavolta sembrava poter essere il candidato numero uno al premio.

A rendere Marcus Smart un giocatore da cineteca è principalmente la sua bravura nel difendere uomo a uomo. Tende a prevalere sull’avversario in primis emotivamente, cercando di distrarlo il più possibile e, contemporaneamente, a rubare palla rimanendogli appiccicato in ogni situazione. Un vero e proprio esercizio di stile, che ricorda molto una NBA di altri tempi in cui non subire punti era la priorità e si giocava in modo più aggressivo: Smart non avrebbe sicuramente sfigurato nei leggendari Detroit Pistons dei “Bad Boys”.

 

Non di sola difesa, però, si vive: Smart è anche un ottimo tiratore da tre, come dimostra il fatto che nel 2020 è riuscito ad infilare 11 canestri dall’arco in una sola partita. Prima di lui c’erano riusciti solo dieci giocatori in tutta la storia dell’NBA. Anche grazie a questo, una Boston da sogno ha massacrato un super-team come i Brooklyn Nets, punendo ogni errore difensivo e gestendo al meglio le spaziature.

Che lo si ami o lo si odi, il numero 36 è un fenomeno di questa generazione ricca di talento che sta rendendo l’NBA meravigliosa a cavallo di due epoche: quella caratterizzata dal dominio di Lebron, Curry e Durant e quella di Giannis, Doncic e Morant. Marcus Smart rappresenta il tassello mancante del puzzle che potrebbe comporre la sagoma del titolo 2022 dei Boston Celtics. Ora sta all’head coach Ime Udoka riuscire a incastrare al meglio i pezzi per poter riportare il trofeo al TD Garden dopo 14 anni.