Negli ultimi giorni numerosi sono stati gli avvenimenti che hanno scombussolato la politica italiana. La questione che più ha sollevato dissensi e malumori è stata la bocciatura del referendum sul fine vita da parte della Corte Costituzionale. In cosa consiste il referendum e perché è stato respinto?
L’oggetto del referendum è l’abrogazione parziale della norma penale che impedisce di legalizzare l’eutanasia nello Stato Italiano. Il reato punito dalla norma è l’omicidio consenziente, ma con i requisiti introdotti dalla sentenza Cappato, l’eutanasia risulterebbe legale, tranne nei casi in cui l’omicidio consenziente venisse commesso nei confronti di:
- minori;
- persone con infermità mentale, o che si trovino «in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti»;
- persone il cui consenso è stato estorto con violenza o inganno.
Quindi, se l’esito fosse stato positivo le prerogative per procedere all’eutanasia sarebbero state allargate a tutti i tipi di malati, senza discriminazioni, poiché chi «non vuole procedere da solo o non può – a causa di malattia totalmente inabilitante – rimane esclusa da questo diritto»; chi è totalmente immobile «non può esercitare la propria libertà di scelta».
La Corte Costituzionale però ha ritenuto inammissibile il referendum durante la Consulta del 15 febbraio. Giulio Amato, il presidente della Consulta, ha dichiarato che «se approvato avrebbe aperto all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra», proponendo l’esempio di “un ragazzo un po’ ubriaco”. Filomena Gallo interviene sottolineando che il referendum è molto chiaro sotto questo aspetto: «In questo caso il consenso non sarebbe stato considerato valido. L’esempio fatto da Amato sarebbe infatti ricaduto nel reato di omicidio doloso perché il fatto è commesso nei confronti di una persona ‘che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti’».
Per la Corte è necessario che su questo fronte si approvi invece una legge, essendo uno strumento più forte. Ma il DDL sul suicidio assistito, redatto da PD e Movimento Cinque Stelle, compie troppi passi indietro rispetto alle conquiste ottenute nei Tribunali, difatti aggiungendo ulteriori presupposti per accedere alla morte medicalmente assistita. Le persone che dovrebbero fruire di questo diritto sono state nuovamente colpite. Più concretamente, Mario che era stato ritenuto idoneo per procedere con l’assunzione del farmaco, con la nuova legge non potrebbe accedere al suicidio assistito perché «secondo il testo in discussione le sofferenze intollerabili devono essere necessariamente sia di natura fisica che psicologica. Il servizio sanitario nazionale, in sede di verifica delle sue condizioni, aveva riscontrato la presenza di intollerabili sofferenze fisiche, che secondo il diritto oggi vigente devono essere alternative e non concorrenti a quelle psicologiche. Infatti, è stato anche riconosciuto come Mario sia pienamente lucido e determinato rispetto alle sue scelte di fine vita.» Oltre a questo si aggiunge l’obbligo di sottoporsi alle cure palliative. I tempi lunghissimi e le continue diatribe circa il da farsi sul DDL non fanno che alimentare la sofferenza causata a tutte le persone che necessitano di questo diritto civile, e di cui vengono continuamente private.
Il 17 febbraio a Montecitorio però sembra essere scattato qualcosa: gli emendamenti soppressivi del primo articolo proposti da Forza Italia e Lega sono stati respinti dall’Aula, con 262 voti contrari. Se Letta e Conte si sono apertamente dichiarati favorevoli alla legge discussa in Parlamento, l’Associazione Luca Coscioni ritiene che sia «peggiorativa».
In seguito alla bocciatura del referendum, che aveva raggiunto in totale più di un milione di firme raccolte, Cappato afferma che questa «è una brutta notizia per la democrazia»; se il referendum fosse stato ratificato «ci sarebbe stata un’importante occasione per collegare la realtà sociale con delle istituzioni su questo molto disattente». Gli italiani che hanno firmato a favore dell’eutanasia legale durante la campagna, hanno avuto ben presente il testo su cui avrebbero dovuto esprimere il loro giudizio. Ricorrere ad un appiglio poco assennato, ovvero premere sulla presunta controversia del testo, ha solo disatteso la volontà maggioritaria, poiché non avrebbe dovuto infierire sull’ammissibilità del referendum. A favore di ciò, Filomena Gallo ricorda che «le denominazioni dei testi dei quesiti su cui si sarebbero espressi gli italiani, se il referendum fosse stato ammesso, sono stati scritti dalla Corte di Cassazione, e non dai Comitati Promotori.»
Nonostante il riscontro negativo, l’Associazione continuerà a portare avanti con altri strumenti la lotta in corso, mantenendo fisso l’obiettivo di garantire giustizia a tutti i malati che meritano di essere tutelati dalla legge.