Era il 2007 quando, per la prima volta, rimasi folgorato dall’indipendenza emanata da una popstar. Una parrucca bionda incantò il mio giovane cuore queer, ufficialmente conquistato, subito dopo, con tre parole, sinonimo stesso di musica pop: “It’s Britney, bitch”.
Molti la amano e molti amano odiarla, ma nessuno riesce ad essere indifferente a quella che é, per me, l’incarnazione della parola “icona”: il sorriso magnetico, la musica ipnotica, la presenza scenica inimitabile e un indimenticabile piercing all’ombelico, hanno reso una ragazza della provincia americana, Britney Spears, il fenomeno mediatico di cui il mondo aveva bisogno.
Con un volto spiattellato ovunque e una vita raccontata da chiunque, é strano pensare che un nome noto come quello di Britney Spears avesse ancora qualcosa da nasconderci dopo ben venticinque anni sotto i riflettori. Eppure in “The Woman In Me”, la sua autobiografia, la cantante si racconta onestamente e senza paura di condividere ogni dettaglio di una vita divisa tra alti euforici e bassi estremamente dolorosi.
Il libro, pubblicato il 24 Ottobre 2023 è diventato istantaneamente un New York Times best seller, racconta la storia della cantante americana da ancora prima della sua nascita fino alla fine, nel 2021, della tutela a cui essa era sottoposta da tredici anni. Come suggerito dal titolo, il macro-argomento dell’autobiografia é il modo in cui le donne vengono trattate da diversi elementi che costituiscono la nostra società: il cosiddetto segreto di Pulcinella che vede il genere femminile sessualizzato, screditato e ridicolizzato, talvolta (come in questo caso) oltre ogni limite di sopportazione.
Parlando degli inizi della sua carriera, Spears paragona la sua esperienza nel promuovere la sua musica rispetto a suoi amici e coetanei uomini, come la boyband NSYNC: mentre a loro veniva chiesto come fosse lavorare con produttori e scrittori famosi, ad una sedicenne Britney Spears veniva chiesto se il suo seno fosse naturale e se fosse ancora vergine.
Cadere nel mito americano della “ragazza della porta accanto”, significava diventare un esempio per ogni ragazzina che ascoltava la sua musica; dunque, ogni mossa veniva attentamente osservata, analizzata e inevitabilmente criticata. E nel 2003, dopo 5 anni di carriera all’apice, furono proprio i due pesi e le due misure usati per artisti uomini e artiste donne a dare inizio alla caduta libera di Britney Spears: dopo la rottura con Justin Timberlake, quest’ultimo rese pubblica la vita sessuale della coppia. Il risultato? Lui diventò un sex symbol, lei venne umiliata e presa in giro dal mondo intero.
«Era abbastanza stupido che il mondo descrivesse il mio corpo in un modo così sessuale per poi indicarmi e dire: “Guardate! Una vergine!”» scrive la cantante nell’autobiografia.
E questo é purtroppo un sentimento familiare per fin troppe donne: devi essere sexy abbastanza da convincere il pubblico ma senza crederci troppo e, soprattutto, senza aver alcun desiderio sessuale. Una volta diventata genitore, con un matrimonio burrascoso in sottofondo, l’attenzione dei tabloid cambiò obiettivo: si spostò da Britney Spears come sex symbol a cattiva madre e speculando su quale fosse lo stato del suo matrimonio, insidiandosi in ogni aspetto della sua vita privata, rimuovendo le ultime briciole di privacy rimaste. Costantemente circondata da paparazzi anche quando era a passeggio con un neonato in braccio, la cantante racconta nel libro quanto fosse difficile sopravvivere in quel periodo, combattendo in privato una severa depressione post partum e cercando di convincere il mondo che tutto andasse a gonfie vele con suo marito. Ma, dopo la nascita del secondo genito, la cantante divorziò dall’aspirante rapper Kevin Federline e i media ne diventarono ossessionati, rendendo le normalissime serate in discoteca di una ventiseienne motivo per il quale non dovesse avere custodia legale dei propri figli, documentando ogni dettaglio della battaglia tra i due genitori dove una Britney Spears umiliata era spesso fotografata in lacrime fuori dalla casa dell’ex marito chiedendo di vedere i propri figli.
Dopo aver registrato quello che lei chiama nel libro “il mio miglior album”, essersi rasata i capelli (foto venduta per cinquecentomila dollari) e essere stata costretta a due ospedalizzazioni consecutive, nel 2008 suo padre diventa suo tutore legale, in carico sia della sua figura che del suo patrimonio, dopo che la cantante era stata dichiarata incapace di occuparsi di sé stessa e di prendere decisioni.
Durante la durata della tutela, di ben tredici anni, Jamie Spears ha guadagnato sedici mila dollari al mese per occuparsi di sua figlia più circa cinquecento mila dollari all’anno dai progetti di Britney Spears (nel 2011, la sua compagnia ha guadagnato 1.8 milioni di dollari). Queste cifre sono possibili grazie al fatto che, nonostante fosse dichiarata incapace di decidere per sé, la cantante veniva costretta a lavorare: durante la tutela vennero pubblicati quattro album, fatti due tour, tre documentari, ventisei profumi e circa duecentocinquanta show nel suo spettacolo a Las Vegas.
Nel 2018, dopo un litigio con il padre durante le prove di quello che sarebbe dovuto essere il suo nuovo show a Las Vegas, la cantante fu costretta ad andare in un centro di riabilitazione:
«Mio padre mi disse che se non volevo andare sarei dovuta andare in tribunale e me ne sarei vergognata» richiama nel libro.
Dopo mesi in cui era chiusa nella sua camera con la possibilità di guardare televisione solo per un’ora la sera, sottoposta a tre prelievi di sangue al giorno e alla somministrazione di litio, una delle sue infermiere le mostra un’intervista di due fan che parlavano del movimento #FreeBritney e del fatto che, secondo loro, la cantante fosse costretta in maniera coattiva nell’istituto psichiatrico. Questa rivelazione creò un effetto a catena: la cantante si informò di cosa potesse fare per denunciare il padre e, per la prima volta, un giudice la autorizzò ad assumere un suo avvocato. Parlò in tribunale per la seconda volta, ma questa volta con molti più riflettori puntati sulla causa e, nel novembre del 2021, la tutela venne ufficialmente conclusa.
“The Woman In Me” é un libro talmente sincero che, a volte, fa male. Da grande fan della cantante, ho provato empatia, tristezza e rabbia per la persona, dovendomi fermare nella lettura quando le supposizioni fatte negli anni venivano confermate come realtà. Il regalo che Britney Spears ci fa raccontando la sua storia é quello della riflessione; per ogni emozione provata, ci permette di riflettere su quante donne e quante persone sotto tutela stanno vivendo la sua stessa situazione, senza l’attenzione mediatica a lei riservata e senza il supporto che lei ha eventualmente ricevuto.
Il libro ci aiuta anche a capire il perché sia stato deciso di non promuoverlo con interviste in prima serata o eventi speciali: dopo una carriera la cui seconda metà è caratterizzata dallo sfruttamento dei media della sua figura, la sua vita e del suo dolore, Britney Spears ci ricorda l’importanza di riuscire a raccontare la nostra storia usando la nostra voce.